Laurent Tirard, Le vacanze del piccolo Nicolas
… il grande amore che dovevo avere l’avevo avuto, i romanzi migliori che dovevo scrivere li avevo scritti, di certo non ne avrei scritti altri in cui mi sarei potuta così profondamente esprimere, perché non avrei vissuto nient’altro che mi avrebbe potuto così profondamente toccare, la casa d’infanzia era ormai alle spalle e con lei ogni promessa interessante di bene: “E allora. Se non c’è più da scrivere, se non c’è più da vivere, se non c’è più una famiglia che, ogni settimana, quantomeno mi dia l’illusione di essere la mia, che ci sto a fare io al mondo?” ripetevo in continuazione ogni lunedì alla mia analista, la dottoressa T.
Che un giorno di dicembre – ispirata da Rudolf Steiner ed esasperata da me –, alla fine di una seduta, mi ha buttato lì, intensa e un po’ magica com’è: “Le va di fare un gioco?”.
“…”
“Per un mese, a partire da subito, per dieci minuti al giorno, faccia una cosa che non ha mai fatto.”
“Cioè?”
“Una cosa qualunque. Basta che non l’abbia mai fatta in trentacinque anni.”
“Quasi trentasei.”
“Quasi trentasei. Una cosa qualunque. Nuova.”
“Per un mese.”
“Sì.”
“Per dieci minuti.”
“Per dieci minuti.”
“Ma … è sicura che funzioni?”
“Dipende da lei. I giochi sono per persone serie. Se decide di cominciare il percorso, non deve saltare nemmeno un giorno.”
“E poi?”
“Poi che?”
“Alla fine che cosa si vince? Riavrò indietro la mia vita?”
“Ne riparliamo fra un mese, Chiara. Intanto giochi, si impegni e non bari, mi raccomando. Arrivederci”
“Arrivederci.”
Chiara Gamberale, Per dieci minuti