A Torino, all’8bis di Via Valperga, c’è un ristorante che non ti aspetti.
Perché è un piccolo posto, perché è pure un po’ nascosto, perché quasi è da carbonari, così fuori come si trova dal tradizionale itinerario (il centro, il Quadrilatero, Vanchiglia o San Salvario) del tempo libero e del dopolavoro torinesi.
Si chiama Linea16, come il tram che passa giusto là, ed è un locale intimo e semplice di quella semplicità fatta di distillazione che, per me, è la quintessenza dell’eleganza.
È un ristorante in cui i sapori giocano la danza degli ossimori, e in un’alcova croccante di rosmarino si consumano gli amplessi tra la dolcezza delle carote in puré e l’aroma deciso e secco della polvere di caffè. Le cappesante si crogiolano nel tepore di una zuppa di cannellini avvolgente e vellutata e le foglie di verza dei capunet, tratti dalla tradizione contadina piemontese, avvolgono amorevolmente lo stracotto di cinghiale con coccole bizzarre di cioccolato e chiodi di garofano.
E tutto questo trionfo di amorosi sensi culmina in un dolce tipico torinese, che è la panna cotta, delicata e soave e il cuoco la declina alle erbe aromatiche e accostandola alla crema di castagne e a una pioggia di nocciole di quella varietà tonda gentile che per noi è orgoglio nazionale.
In questo ristorante sono così ben immersi nella torinesità che ti coccolano davvero e stanno attenti che il cestino del pane e dei grissini non si svuoti e ti accolgono con un goloso benvenuto e in più, tra gli antipasti e la portata principale, fanno entrare in scena un intermezzo che, nel mio caso, si è concretizzato in crema di verza viola con fiocchetti di robiola e croccante di pane aromatizzato.
Di più c’è che ho annaffiato la mia cena con un Nebbiolo delle Langhe estratto dal cilindro magico di una carta dei vini decisamente all’altezza della situazione.