La poesia, per me, è fatta di quello che vedo. Di quello che vivo e che penso. Di quello che immagino o sogno. Sono cose normali e feriali. Quel grumo banale di semplici cose che accadono nel quotidiano. Del profumo, al mattino, del pane, le albicocche o i mirtilli, che sempre mi fanno allegria. Di un bambino che ride felice del suo nuovo aquilone o un gatto randagio che geme di fame. Di pane e prosciutto, ridendo, su un prato, nei giorni d'estate e camminate per mano, su strade arcinote, battute dal tempo e da piedi ormai stanchi di stare nelle solite scarpe. Di minestre col dado, la sera, quando ritorno stanca da lavorare e non voglio nemmeno sentire parlare di mettermi in cucina. Del momento stesso in cui può avere inizio la vita: di saliva e sudore e gemiti soffocati nei letti disfatti dal sesso la notte. Non cerco il barocco, le cose più astruse, metafore senza ragione ... Io voglio, poeticamente, parlare delle cose normali di quelle che riempiono ogni giorno la vita di tutti.
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Poesie
Pare che a un certo punto di naufraghi non se ne vedessero più, nemmeno scrutando attentamente l’orizzonte.
Non restava più nessuno da ripescare da quel mare affannato che mi divideva dall’Argentina.
Per mesi avevo incontrato lo sguardo di poveri (de)relitti galleggianti che mi supplicavano di essere tirati in barca e io con pazienza e attenzione, con delicatezza potrei dire, li avevo ripescati a uno a uno.
Alcuni si erano dimostrati veramente inopportuni, mi avevano svegliata la notte, insolenti!, pretendendo che scrivessi di loro, che dessi loro una voce. La mia voce.
Altri avevano anche avuto l’ardire di mettermi in imbarazzo con amici e conoscenti. Quei soggetti quasi erotici avevano suscitato ben più di una perplessità su una mia prossima fuga a ovest con un gaucho poeta di cui mi dovevo certamente essere innamorata per scriverne così.
Poi tutta questa buriana è passata. Il mare si è calmato e io ho ripreso a navigare quasi serenamente sull’olio immobile dei miei giorni.
Senonché a un certo punto sono comparse loro.
Adesso non traiamo subito affrettate conclusioni sulla mia salute mentale. Sta di fatto che tutta la poesia che avevo accuratamente schivato per un’intera vita, si è presentata alla mia porta, l’ha sfondata e mi ha invaso la vita.
In briciole sparse. Preferibilmente di notte (io mi chiedo perchécazzomai tutta sta poesia mi debba aggredire la notte! e con un’urgenza indifferibile che mi impone il risveglio e la scrittura in trance, piena di errori perché lo faccio senza occhiali, prendendo appunti sul cellulare, tra le imprecazioni di mio marito che vorrebbe dormire e invece io sono lì a scrivere, e vabbè, pare che continui a sopportarmi, nonostantetutto).
Dicevo, poesie. Ma… Poesie… Boh, cose normali. Cose banali. Cose di tutti i giorni, come le scarpe strette e i mirtilli (che ossessione questa dei mirtilli!) le passeggiate e il sorriso dei bambini… Cose così, ecco, ma nella mia solita maniera che mescola il tenero con la puzza di piedi.
E poi delle poesie per le mie amiche (chissà se si riconosceranno). Ma non poesie scritte da un’amica a un’amica, no! Sarebbe facile e quindi non sarebbe da me. No, ecco. Poesie che sembrano scritte da un uomo innamorato. E questo è ancora più strano.
Il punto è che io sono solo il mezzo. Voglio dire, non è che le pensi. No, no, non funziona così. Col medesimo procedimento dei naufraghi, mi arrivano in testa già belle e pensate. Finite e solo da crivere (e facendo pure in fretta, sennò poi se ne vanno e io resto come un’allocca).
E va bene. Mi arrendo. Scriverò pure quelle. La faccenda più incredibile è che qualcuna l’ho fatta leggere a qualche amic* (sono abbastanza “polliticamente” corretta? sono sufficientemente inclusiva?) e le hanno pure trovate belle…
Ti amo. Più ti conosco e più mi incanto ... Sei una meraviglia. Me lo ripetono così insistentemente e da talmente tanto tempo, che ho finito per crederci, e diventarlo davvero ...
Il senso ultimo delle cose
Lo spazio profondo...
Milioni di anni luce da qui...
La possibilità di fotografare
la luce emessa al momento
del big bang, centinaia
di milioni di anni fa...
Un luogo in cui
l'unità di misura dello spazio
è il tempo.
Tu. Io.
Tu sei radice.
Io ho le ali.
Però ogni passero
necessita del suo albero
per arrivare, ripartire ...
Fare il nido.