Il prigioniero coreano, Kim Ki Duc, 2016
Kim Ki Duc ci racconta una storia semplice: quella di un pescatore al confine tra due mondi fratelli che, pur parlando la stessa lingua, non si capiscono.
Nam Chul Wo è stato addestrato nei reparti speciali dell’esercito della Corea del Nord, ma terminato il tempo a servizio dello Stato, fa il pescatore sul litorale che divide le due Coree, vivendo i suoi giorni in serena povertà con la moglie molto amata e una figlia silenziosa.
Un giorno il motore della barca si rompe e la corrente lo porta alla deriva, verso l’altra sponda. Catturato dai servizi segreti dell’altra Corea, gli viene assegnato un tutore. Presto capisce che si tratta dell’unica garanzia che ha affinché le torture cui dovesse essere sottoposto non passino il segno.
Tra i due si instaura un rapporto di curioso rispetto reciproco, dettato dalla voglia di entrambi di capire l’altro e il mondo da cui proviene.
Un film che consiglio vivamente. Mio figlio lo ha amato molto, perché gli ha permesso di guardare con occhio distaccato (il regista non parteggia per nessuno, se non per le persone che racconta) una situazione quanto mai attuale.
Attori eccezionali, tutti perfettamente in parte.