Dorothea Lange, 1936 circa
Gli storici ci informano che la società romana era una società immobile. Una maledetta oligarchia. Per tutta l’epoca repubblicana tutte le cariche più importanti sono state ininterrottamente appannaggio di pochissime famiglie. Dieci, quindici famiglie, sempre le stesse, che, per secoli, si sono spartite le stesse cariche: consolati, proconsolati, preture, propreture e questure.
Da qui deriva per esempio uno dei più frequenti errori di datazione in cui incorrono gli storici antichi: l’errore per consolati iterati (uno stesso console che rimaneva in carica per più anni); o l’errore per omonimia (o quasi omonimia) di consoli in carica. Un ulteriore indizio, a ogni buon conto, che il potere era sempre nelle stesse mani.
Quando qualcuno si candidava a una carica rilevante, e si apprestava a far campagna elettorale, a comprare a suon di denaro e di favori i voti che gli servivano, la domanda ricorrente era: di chi è figlio? O, come si esprime proprio Orazio: chi è questo qui? Da quale padre è nato?
Non si chiedevano, i Romani dell’epoca repubblicana, ma è capace? è bravo? ci sa fare? è competente? No. No, niente di tutto ciò. Bensì: da quale padre è nato? a quale famiglia appartiene?
Alessandro Banda, Il lamento dell’insegnante