
31 maggio
… Eccomi dunque, sul parquet di fronte alla donna, sono come Dio mi ha fatto, solo con quarantanove anni e quattro giorni in più, non che i miei pensieri siano così orientati verso il Creatore, in questo preciso momento. Ci sono ancora tre assi del pavimento fra noi, in massiccio legno di quercia delle foreste qui intorno, che sono tappezzate di mine antiuomo, ogni tavola larga una trentina di centimetri più gli interstizi, e io tendo la mano, brancolo verso di lei come un cieco che va cercando il nesso fra le cose, prima mi avvicino alla superficie del corpo, la pelle, la luna le rischiara la schiena attraverso uno spiraglio fra le tende. Muove un passo verso di me, io faccio scricchiolare un’asse del pavimento. Anche lei tende la sua mano, le uniamo palmo contro palmo, linea della vita contro, linea della vita e un fiotto violento mi invade la carotide, le vene delle ginocchia e quelle delle braccia mi pulsano, sento il flusso del sangue spandersi fra un organo e l’altro.
Alla spalle del letto, la parete della stanza numero undici dell’Hotel Silence è rivestita di una tappezzeria dai motivi a foglie. Mi attraversa la mente un pensiero, che domani comincerò a carteggiare e lucidare il pavimento.
Hotel Silence, Audur Ava Olafsdottir, 2018