Free jazz, Francesco Zoia, 2016
Nonostante il sostegno entusiastico di EVans, l’indifferenza alla concezione tradizionale della composizione visiva che si percepisce in Frank era così provocatoria che sulle prime il fotografo non riuscì a trovare in America un editore per il suo libro. Fu solo dopo il successo dell’edizione in Francia nel 1958 che The Americans fu pubblicato, l’anno seguente, negli Stati Uniti. L’anno successivo Ornette Coleman pubblicò un album che audacemente annunciava The Shape of Jazz to Come (la forma del jazz del futuro). Nonostante si siano verificati indipendentemente l’uno dall’altro, questi momenti decisivi in musica e in fotografia si chiariscono a vicenda.
La storia del jazz è la storia di ascoltatori che si abituano a ciò che a un primo impatto suona strano, inassimilabile. Le immagini di Frank condividono con la musica di Coleman la necessità di esplorare i confini formali attraverso la loro eliminazione. Le obiezioni al free jazz introdotto da Coleman possono essere facilmente estese al lavoro di Frank che, secondo gli standard tradizionali, era giudicato privo di struttura e di composizione. Verso la fine degli anni Cinquanta la musica di Coleman era considerata rivoluzionaria e senza precedenti. Ascoltandola adesso possiamo sentire abbastanza chiaramente quanto sia intrisa del blues che accompagno la crescita del sassofonista a Fort Worth, in Texas. Per Frank è esattamente lo stesso. Dal momento che le sue foto sono diventate esse stesse parte di una tradizione possiamo leggervi una provenienza diretta da una fase precedente a quella tradizione. Anche se non esistono precedenti alle immagini di Frank, in esse c’è sempre qualcosa di familiare, qualcosa delle vestigia di una logica figurativa più antica e prudente il cui modo di confezionarla è stato abbandonato deliberatamente. Secondo Wim Wenders a rendere Frank unico è la capacità di “fotografare con la coda dell’occhio”. I risultati che ne conseguono non arrivano mai a essere semplici per l’occhio dell’osservatore ma, visto che ci siamo abituati a sentirci a nostro agio con questo disagio, riusciamo a vedere quanto vi sia in Frank del blues visivo di Dorothea Lange e Walker Evans, che lo ha preceduto.
L’infinito istante, Geoff Dyer