Andrea Dojmi, 1995
Il bambino non sembrava inchiodato, ma sfracellato davanti a loro, scagliato contro quella porta da una forza d’altri tempi.
“Ce n’è dappertutto”.
Si parla così dei morti, di cui la nostra vita ci dice che ormai sono soltanto materia. La suddetta materia, grumosa e sanguinolenta, tappezzava il pianerottolo ben oltre gli stipiti della porta.
“Non gli hanno nemmeno tolto gli occhiali”.
S’, e come spesso accade, quel dettaglio insignificante accresceva immensamente l’orrore.
Lo sguardo dilatato del bambino fissava il gruppetto attraverso il doppio cerchio degli occhiali rosa. Sguardo di civetta sacrificata.
“Come hanno potuto … come?”
L’avvocato La Herse si scopriva improvvisamente ostile a ogni forma di violenza.
“Guardate, respira ancora.”
Se si poteva chiamare respiro quel sibilo di polmoni sparpagliati. Se si poteva chiamare respiro quella schiuma rosata che imperlava le labbra del bambino.
“Le mani … i piedi …”
Né mani, né piedi … probabilmente maciullati dai chiodi mostruosi all’interno della djellaba. Ed era proprio questa la cosa peggiore, la djellaba quattro volte amputata, che era stata bianca.
“La polizia, chiamate subito la polizia!”
L’avvocato La Herse aveva lanciato l’ordine senza riuscire a staccare gli occhi dal bambino suppliziato.
“Niente polizia!”
Su questo punto Six la Neve non transigeva.
“Da quando in qua, la polizia?”
Uno dei loro principi infatti era quello di non ricorrere mai alle forze dell’ordine. Da quando in qua un pubblico ufficiale competente , che ha prestato debito giuramento, perfettamente assistito, aveva bisogno del concorso della forza pubblica per assolvere il proprio incarico?
Quindi il vecchio fabbro scrutò tranquillamente la faccia del piccolo martire.
Allora il bambino parlò. Distintamente, ma come un’anima che già si invola.
Il bambino disse:
“Non entrate”.
Six inarcò le sopracciglia.
“Possiamo sapere perché?”
Il bambino disse:
“Dentro è ancora peggio”
Difficile immaginare una risposta più dissuasiva, ma essa non turbò affatto il fabbro. Percorrendo con uno sguardo tranquillo la massa sanguinolenta, si limitò a chiedere:
“Posso assaggiare?”
Senza aspettare l’autorizzazione, tuffò il dito indice nella ferita che lacerava la djellaba sul fianco destro del bambino, lo leccò con cura, fece schioccare la lingua e concluse:
“Harissa”.
Gli occhi rivolti al cielo cercavano sfumature:
“Harissa … Ketchup …”
Schioccava la lingua come un vero intenditore:
“Una punta di marmellata di lamponi …”
Neanche avesse passato la vita a mangiare martirio.
“Ma perché le cipolle?”
“Per fare la pelle”, rispose spontaneamente il piccolo.
Daniel Pennac, Monsieur Malaussène