Dafne, Federico Bondi, 2018
Dafne è un vulcano di capelli rosso lava che dice sempre quello che pensa, non sopporta i sassolini nelle scarpe, va in discoteca, ha un mucchio di amici che la amano e la stimano, lavora sodo con impegno e dedizione, è molto felice e single convinta, anche se ha avuto un fidanzato, una volta.
Ma soprattutto Dafne vuole scegliere e, quando muore la sua mamma e il babbo cade in depressione, sceglie di non prendere le “medicine per non piangere” che vorrebbero darle, perché lei, invece, vuole proprio piangere.
Che poi Dafne abbia 3 cromosomi nella “coppia 21” è solo una questione che mette in imbarazzo noi benpensanti che “poverina” pensiamo “non le bastava quel che già aveva?”. Ma quello è un problema nostro, perché lei se ne frega e ci dimostra che i limiti stanno solo nella nostra testa di normodotati, troppo spesso paurosi di scegliere perché temiamo di sbagliare e di soffrire e, in definitiva, di vivere.
Carolina Raspanti impersona una rompiscatole infinita a cui non diamo una botta in testa solo perché ci trattiene la sua malattia così dimostrandoci una volta di più la nostra pochezza, ma la sua caparbietà, il suo ottimismo, la sua forza d’animo sono travolgenti. Alla faccia di tutti quelli che quando parlano con un “handiccappato” tirano fuori la vocetta mielosa e condiscendente che si usa con i bambini di due anni (che detto per inciso non sono stupidi nemmeno loro).
Un film asciutto e senza fronzoli, non ne servono, che tutti dovrebbero vedere per smettere di piangersi addosso quando si sbeccano un’unghia.
Delicato cammeo di Stefania Casini (nota ai più grandicelli per la sua spettacolare avvenenza, di cui non faceva mistero) nei panni della mamma di Dafne.
Uscito nelle sale il 21/3 (21 come la coppia di cromosomi, 3 come la tripletta che la abita) è stato giustamente premiato alla Berlinale con il prestigioso Premio FIPRESCI