Cafarnao – Caos e miracoli, Nadine Labaki, 2018
Il condannato ha polsi sottili.
Così sottili che sembrano quelli di un bambino.
Così sottili che sono quelli di un bambino.
Il condannato è un bambino.
Ma non gli vengono risparmiate le manette. Né una condanna a cinque anni di carcere. Né un carcere che a confronto quelli in cui sono rinchiusi gli adulti nelle prigioni modello dell’Occidente sono hotel a 5 stelle.
Questa Cafarnao non è in Galilea, non è il luogo evangelico della sinagoga in cui Gesù inizia la sua predicazione.
Questa Cafarnao è la Beirut di oggi devastata e così uguale a quella dei racconti fotografici di Gabriele Basilico, anche se da allora sono passati quasi trent’anni.
E’ un suq dove la povera gente si arrabatta, dove le bambine di undici anni vengono date in spose a uomini adulti e muoiono di parto, dove immigrati clandestini sono schiavi di sfruttatori senza scrupoli, dove i bambini sognano di emigrare in Svezia e un profugo siriano è in una condizione invidiabile rispetto a chi, pur essendo libanese, non esiste agli occhi di nessuno, dove un bambino disperato e carcerato può decidere di fare causa ai suoi genitori per averlo messo al mondo.
Eppure, e misteriosamente e inspiegabilmente, è anche un luogo di speranza. E di promesse incredibilmente mantenute.
Giustamente premiata a Cannes, la Labaki, brava regista e attrice, si riserva un cammeo commovente di avvocato (avvocata?) che combatte per i sogni di chi pare non aver diritto ad averne.