Powidoki – Il ritratto negato. Andrzej Wajda, 2016
Che cosa resta dell’arte se non le si permette di esprimersi in tutta la sua forza visionaria e orientata verso la fantasia e il futuro?
L’arte sovietica e comunista degli anni Cinquanta del secolo scorso assomiglia sinistramente a quella propagandata dalla Germania nazista pochi decenni prima.
Perché le dittature sono ossessionate e terrorizzate dalla potenza dell’immaginazione e quindi tutto ciò che la celebra è degenerato e va soppresso.
Strzeminski continua a dipingere. Anche se la Prima Guerra Mondiale gli ha portato via un braccio e una gamba, anche se il comunismo tenta di portargli via ogni residua possibilità di vivere, ad eccezione della vita. In un crescendo di divieti e di privazioni, resiste senza mai perdere la dignità, nemmeno quando è costretto a leccare il fondo della minestra rimasto sul piatto e a mandare la figlia in orfanotrofio per garantirle un pasto e un tetto.
Il testamento di Wajda si apre e si chiude con due metafore del colore che rappresentano i due atti supremi dell’uomo quando si tenta di annientarlo: la resistenza e la ribellione. L’ombra rossa del comunismo, sotto forma di gigantografia di Stalin, si stende sul quadro che sta nascendo sulla tela e l’artista la squarcia con la sua stampella; i fiori bianchi che immerge nel colore blu per portarli sulla tomba della moglie (la scultrice Katarzyna Kobro) come ultimo gesto.
E sullo sfondo le sue teorie sull’atto del guardare, sull’immagine residua, sul dovere di scegliere.
Un film immenso.