Sessanta occhi che mi guardano increduli.
Non riescono a capire dove voglio andare a parare.
Uno degli aspetti che più amo del mio lavoro è questa disponibilità dei ragazzi a stupirsi.
Entro in classe con intenti bellicosi. E una carta geografica australe arrotolata sotto il braccio. Il mio miglior sorriso.
“Che sta tvamando, Pvofe?” Cavallero, con la sua inconfondibile evve e la voce altalenante dei maschi tra i tredici e i quattordici anni, è tanto curioso quanto sfacciato e capace di annusare a un miglio di distanza l’umore di ciascuno di noi insegnanti.
“Sta buono tu! Lo vedrai fra un attimo” e senza lasciargli il tempo di replicare, con il gesto più teatrale che riesco a estrarre dal mio cilindro, svolgo la mappa e la attacco al muro.
Silenzio assoluto e scruto a mia volta quei sessanta occhi. Un volto dopo l’altro, mi godo la reazione dei miei ragazzi di Terza A, senza dubbio la classe più vivace e divertente che mi sia capitata in tutti questi anni di insegnamento.
Poi, con voce stentorea, declamo: “Esistono posti nel mondo in cui è piena estate quando qui è inverno. In cui quando qui è notte fonda è ancora giorno”. Dal fondo dell’aula, arriva la voce allegra e vivace di Ameglio, codini e occhialetti tondi, lunga e secca sta agli ultimi banchi per non impallare i compagni più bassi “posti in cui il sud si fa nord, quindi!”.