Vos y Federigo

Y vos y Federigo me lo aprendiste
que si sabré esperar
en el alba de un balcón abierto
desembocará todo el cielo.

Y mis ojos beberan ese mar de estrellas
tu zurda sobre mi hombro izquierdo
y la derecha tua a indicarme
el río de leche
y una cruz
sureña.

Aprenderé conceptos de balística
Mediré trayectorias australes
Buscaré el horizonte polar
que me devuelve a ti.
E tu e Federigo me lo avete insegnato
che se saprò aspettare
nell'alba di un balcone aperto,
sfocerà tutto il cielo.

E i miei occhi berranno quel mare di stelle,
la tua sinistra sulla mia spalla sinistra
e la destra tua a indicarmi
Il fiume di latte
e una croce
meridionale.

Imparerò concetti di balistica
Misurerò traiettorie australi
Cercherò l'orizzonte polare
che mi riporta a te.

Davanti allo specchio

Io voglio te.
La tua ironia.
Il tuo sguardo sereno sul mondo.
Il tuo stupore per le cose che si avverano quando ormai non le speravi più.

Non sei fatto per annegare in questo miele di malinconia.

Come faccio a fartelo capire?
Le parole di Neruda, di Borges e Cortazar, Gelman, Rulfo e potrei citarne altri mille e non avrei ancora finito … quelle parole sono meravigliose.
Ma io voglio le tue.

Voglio sapere cose che non ho mai visto e ciononostante sentirne la nostalgia, semplicemente perché me le stai raccontando tu.
Voglio le mattine in silenzio, a scrutare l’orizzonte chiedendosi se pioverà e quelle col mate in mano e lo sguardo a interrogare il giorno che sta per cominciare, nell’incertezza di quello che porterà.
Voglio le giornate di fatica e sudore e polvere, le mani rotte e il coltello e le cicatrici che ti ha lasciato.
Voglio le notti sotto le stelle, quelle a cavallo, quelle accanto a un fuoco a raccontare a raccontarsi, tra uomini di frontiera.

Voglio le donne che hai amato.
E sorprendermi a ritrovare una scheggia di me in ognuna di loro.
E infine scoprire che le hai amate tutte proprio perché tutte insieme erano me.

Voglio essere per te Fenarete e la figlia di Fenarete.
Voglio essere la levatrice che ti fa partorire l’Aristocle dalle spalle larghe che porti in te.

Questa è più di un’avventura.
Ci vuole coraggio per darmi quello che ti chiedo.
Molto più coraggio di quello che ti è stato necessario per fare tutto quello che hai fatto fino a qui.
Perché io voglio tutto.
Esattamente come io ti ho dato tutto di me stessa.
Comprese le cose di cui mi vergogno e che nessun altro conosce.

Une histoire d’amour et de désir

Leyla Bouzid, Une histoire d’amour et de désir, 2021

Farah è una giovane tunisina di buona famiglia, ed è a Parigi per frequentare, alla Sorbona, i corsi di letteratura araba e francese.

Ahmed è il figlio di emigrati algerini. Vive, come molti “zemigrés” (contrazione di les émigrés, termine con cui vengono indicati gli emigrati nordafricani), nella banlieue parigina e, grazie a una borsa di studio conseguita per merito negli studi, è alla Sorbona per frequentare i corsi di letteratura araba e francese.

Non è tanto importante il fatto che i due si innamorino e che lui sia vergine e lei no (ammesso che nel 2020 questo termine abbia, e a quanto pare ancora ne ha, un significato). O meglio, è importante, ma solo in quanto pretesto per parlare di differenze culturali tra ricchi nordafricani che mandano i figli a studiare in Francia e poveri nordafricani emigrati in Francia i cui figli si ritrovano strapiantati perché non sono e non si sentono Francesi e allo stesso tempo non conoscono la cultura da cui provengono.

Frequentando Farah e il corso universitario, Ahmed si rende conto che tutto ciò che sa dell’Islam si riduce a quanto gli è stato raccontato – o inculcato – da imam senza scrupoli e spesso ignoranti.

Intorno ai due fluttua tanta umanità: la famiglia di Ahmed, con un papà scrittore di successo in patria e depresso nullafacente in esilio e una madre che si arrabatta con i lavori più umili per sbarcare il lunario e una sorella ribelle che gli causa problemi di reputazione; gli amici del giovane (alcuni invidiosi, altri orgogliosi della possibilità di studiare che si è guadagnato); i compagni dell’università …

La fortuna di essere Torinese e di vivere in questa città affascinante, poliedrica eppure schiva consiste, tra l’altro, nella possibilità non solo di vedere al cinema i film in lingua originale, ma anche di avere la regista in sala per poter discutere con lei.

E Bouzid, in un bel cineforum al sapore di liceo, ci ha raccontato dell’accoglienza molto positiva riservata al suo film nelle sale del Nord Africa e del Medioriente (è stato distribuito SENZA CENSURE anche negli Emirati Arabi!), di quanto la “gente normale” senta il bisogno di affrontare questi argomenti (non solo quello della sessualità in una cultura sessuofoba, ma ancora di più quello della mistificazione della cultura).

À plein temps

Eric Gravel, À plein temps, 2021

Mi sono concessa (grazie a marito e figlio che mi assecondano e si rassegnano a leggere sottotitoli non sempre a caratteri cubitali) una serie di film in lingua originale, tutti imperniati su donne forti.

Come la Anaïs di Les amours d’Anaïs anche Julie corre: corre la corsa a ostacoli dal mattino molto presto alla sera molto tardi, della donna e madre che lavora, ma corre molto di più di quanto si possa immaginare perché lavora come addetta alle camere in un hotel cinque stelle in centro a Parigi e però vive nella seconda cintura della grande città (oltre la banlieue, in quasi campagna) ed è divorziata, con due figli a carico e i conti da far quadrare e la scuola che chiude molto prima che lei riesca a rincasare dal lavoro e le baby sitter che costano e una vicina gentile che le guarda i piccoli e però comincia a essere un po’ anziana e a volte perde qualche colpo … e un ex marito ectoplasmatico che non paga gli alimenti, non trascorre mai coi figli (che sono anche suoi ma sembra dimenticarlo troppo facilmente) i giorni prestabiliti e compare in tutto il film solo come messaggio whatsapp o come voce registrata della sua segreteria telefonica, che avverte che “al momento non sono in città …”.

Julie corre e spera anche di trovare un lavoro più adatto alle sue competenze e capacità. Perché (e questo dovrebbe farci meditare) Julie è laureata e ha un master e parla tre lingue e, essendo donna, quando l’azienda per la quale lavorava ha deciso per un taglio del personale, è stata tra le prime a esserne colpite.

Il tutto scandito da una musica angosciante.

Les amours d’Anaïs

Les amours d’Anaïs, Charline Bourgeois-Tacquet, 2021

Corre, Anaïs, corre sempre. Su e giù per le scale, anche fino al ventesimo piano se ce n’è bisogno, perché lei è claustrofobica. Per strada, perché spesso la sua bicicletta si rompe. Nella vita, perché lei la vita la prende a morsi e la mangia tutta.

E gli altri faticano a stare al suo passo.

È un tornado, Anaïs, e come tale entra nelle vite degli altri, le scompiglia e poi riparte. Finché conosce Emilie. Che potrebbe essere sua madre. E invece si innamorano.

Una storia meravigliosa, in cui gli uomini fanno un po’ la figura dei bambinetti sperduti, piagnucolosi e incapaci di prendere in mano le proprie vite (infatti a mio marito non è piaciuto per niente).