Io voglio te.
La tua ironia.
Il tuo sguardo sereno sul mondo.
Il tuo stupore per le cose che si avverano quando ormai non le speravi più.
Non sei fatto per annegare in questo miele di malinconia.
Come faccio a fartelo capire?
Le parole di Neruda, di Borges e Cortazar, Gelman, Rulfo e potrei citarne altri mille e non avrei ancora finito … quelle parole sono meravigliose.
Ma io voglio le tue.
Voglio sapere cose che non ho mai visto e ciononostante sentirne la nostalgia, semplicemente perché me le stai raccontando tu.
Voglio le mattine in silenzio, a scrutare l’orizzonte chiedendosi se pioverà e quelle col mate in mano e lo sguardo a interrogare il giorno che sta per cominciare, nell’incertezza di quello che porterà.
Voglio le giornate di fatica e sudore e polvere, le mani rotte e il coltello e le cicatrici che ti ha lasciato.
Voglio le notti sotto le stelle, quelle a cavallo, quelle accanto a un fuoco a raccontare a raccontarsi, tra uomini di frontiera.
Voglio le donne che hai amato.
E sorprendermi a ritrovare una scheggia di me in ognuna di loro.
E infine scoprire che le hai amate tutte proprio perché tutte insieme erano me.
Voglio essere per te Fenarete e la figlia di Fenarete.
Voglio essere la levatrice che ti fa partorire l’Aristocle dalle spalle larghe che porti in te.
Questa è più di un’avventura.
Ci vuole coraggio per darmi quello che ti chiedo.
Molto più coraggio di quello che ti è stato necessario per fare tutto quello che hai fatto fino a qui.
Perché io voglio tutto.
Esattamente come io ti ho dato tutto di me stessa.
Comprese le cose di cui mi vergogno e che nessun altro conosce.
Tag: jorge luis borges
Milan Kundera, Borges e Pierre Menard
Rileggendo (proprio in questi giorni di guerra russa all’Ucraina) L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera mi sono ritrovata a sentire la necessità di condividerne alcune brani sulle pagine di questo blog per l’evidente contiguità della vicenda narrata nel romanzo con quanto sta attualmente accadendo nel mondo.
Là l’invasione raccontata è quella, nel 1968, della Cecoslovacchia, sempre ad opera dei Russi, in cui gli Ucraini, come è stato per molti decenni, erano il braccio armato della Russia (curiose le capriole della storia da cui non riusciamo proprio ad imparare nulla). Oggi ad essere invasi sono gli Ucraini ma le riflessioni che Kundera faceva allora, mi pare, sono ancora attuali, in qualche modo sovrapponibili agli eventi che stiamo vivendo in queste ore.
Di ragionamento in ragionamento, di analogia in analogia, sono approdata al solito Borges che da quasi un anno mi fa compagnia, infestando i miei pensieri e i miei sogni e costringendomi a salti mortali intellettuali che mai avrei sospettato possibili.
In uno dei suoi racconti Borges parla di uno scrittore, Pierre Menard, tanto assurdo quanto geniale da aver deciso di riscrivere il Don Quijote di Cervantes.
Vista l’immensità dell’opera, Menard pensa di limitarsi, almeno per il momento, a tre soli capitoli il IX, il XXXVIII e un frammento del XXII.
Non intende scrivere “un altro Don Quijote”, vuole scrivere esattamente il Don Quijote di Cervantes. Peraltro non vuole limitarsi a ricopiarlo pedissequamente.
Per accingersi all’opera, studia la lingua adottata nel Seicento, approfondisce lo stile di Cervantes, si documenta sui costumi dell’epoca e altre finezze
Quando finalmente si sente pronto inizia a scrivere e approda al risultato tanto atteso.
I capitoli sono lì, perfetti.
Quel che accade però è sorprendente.
Chi legge il Quijote di Menard ha con sé il bagaglio di conoscenze costituito da tutta la propria vita pregressa, fatto di accadimenti, studi (storia, filosofia, letteratura), riflessioni personali (sul senso delle cose, sulla vita, sul passato antico e recente, sull’attualità), incontri, tra cui quello con l’intera vita di Cervantes (comprendente cioè anche quella da lui vissuta successivamente alla stesura del Don Quijote e che Cervantes stesso non poteva immaginare) così come quello con la vita di Menard …
Questa mole di sapere, dal momento che è inevitabile una lettura che ne prescinda, è in grado di trasformare le parole di Cervantes (e quelle successive, ma identiche, di Menard) e di renderle altro da se stesse, conferendo loro innumerevoli diversi significati a seconda delle relazioni che il lettore saprà individuare, relazioni che saranno necessariamente diverse per ciascun lettore.
È questa l’operazione che ciascuno di noi fa nel momento in cui decide di citare le parole di un altro: le fa proprie, le carica dei propri significati che vanno a sommarsi a quelli impressi dallo scrittore originario e a quelli che, inevitabilmente, vi troverà il lettore cui saranno consegnate, in una sorta di staffetta che, a seconda della bontà dello scritto, può protrarsi per secoli, o millenni.
L’amante Argentina/argentino
La ricerca di te è un puzzle che per me si perde nel fondo del tempo. Le tessere son sparpagliate tra immagini (mie e no) e parole, le tue e quelle di altri che prima di te hanno parlato, di cui ti sei appropriata, in parafrasi o citandole, fedele. La curiosità di impararti mi ha messo sulle orme di quelli di cui mi dicevi. Per primo è arrivato Borges. Leggendolo, a poco a poco scoprivo che in lui sta il tuo sguardo primigenio. Borges è, per te, “vertebrale”. Borges: il tuo scheletro. Non mi ci è voluto molto per capire che però non bastava. Seguendo le tracce che trovavo sul cammino ho inciampato in Benedetti e Galeano. E lo so che per te sono figli adottivi. Ma son loro il tuo cuore, di carne ferita e dolente. Gli ideali persegui(ta)ti. Ma ancora qualcosa mancava: un corpo è fatto anche di altro. Ho scoperto Cortázar, le tue mani, immaginative. O i tuoi instancabili muscoli. Questo è quanto, mi pare, si possa chiamare “SudacA”. E lo so che ha qualcosa di negativo, questa parola. Tu però sei una terra pirata. Sei tu che la usi per definirti. Sopra questa struttura c’è tutto quello che infiniti lettori han portato appresso per traversare i mari da cui ti han raggiunta. I Greci e i Latini, gli Italiani e i Francesi, Tedeschi e Spagnoli, ovviamente. Che da tutti questi molti sei fatta. E poi briciole di Portoghesi e Polacchi, e Slavi, e Russi e Ucraini e tutti quelli per cui hai rappresentato un sogno da realizzare.
La búsqueda de vos es un rompecabezas Que por mi se pierde en el fondo del tiempo. Los azulejos están desparramados entre imágenes (mías y no) y palabras, las tuyas y las de otros que antes de ti hablaron, que hiciste tuyas, con paráfrasis o cotizandolas fiel. La curiosidad de aprenderte me puse en las huellas de los de que me hablabas. Primero llegué Borges. Leyendolo, paulatinamente descubría que en el esta tu mirada primigenia, Borges es, por vos, vertebral. Borges: tu esqueleto. No tardé mucho en darme cuenta de que pero eso no bastaba. Siguiendo los rastros que encontraba en el camino me tropecé en Benedetti y Galeano. Y sé que por ti son hijos adoptivos. Pero son ellos tu corazón, de carne lastimada y doliente, los ideales perseguidos. Pero algo aún faltaba: un cuerpo está hecho aún de otro. Descubrí a Cortázar, tus manos imaginativas. O tus músculos incansables. Eso es lo que, me parece, se puede llamar SudacA. Y ya sé que tiene algo de negativo, esa palabra. Vos pero sos una tierra pirata. Sos vos que la utilizás por definirte. Sobre esta estructura está todo lo que infinitos lectores han llevado consigo en surcar los mares de los que te alcanzaron. Los Griegos y los Latinos, Italianos y Franceses, Alemanos y Españoles, eso ya es claro. Que de todo estos tantos sos hecho. Y aún migas de Portugueses Y Polacos, y Eslavos, Y Rusos y Ucranianos Y todos los por los cuales representaste un sueño de realizar.
buongiorno!

Ordenar bibliotecas es ejercer, de un modo silencioso y modesto, el arte de la crítica. Jorge Luís Borges, Los dones, El Hacedor, 1960
Riordinare biblioteche è esercitare, in maniera silenziosa e modesta, l'arte della critica. Jorge Luís Borges, Los dones, El Hacedor, 1960
Buongiorno!

… pintarrajeada de colores feroces, los ojos eran de ese color desganado que los ingleses llaman gris. El cuerpo era ligero, como de cierva, las manos, fuertes y huesudas. Venía del desierto, de Tierra adentro y todo parecía quedarle chico: las puertas, las paredes, los muebles.
Quizá las dos mujeres por un instante se sintieron hermanas, estaban lejos de su isla querida y en un increíble país. Mi abuela enunció alguna pregunta; la otra le respondió con dificultad, buscando las palabras y repitiéndolas, como asombrada de un antiguo sabor (…) detrás del relato se vislumbraba una vida feral: los toldos de cuero de caballo (…) las sigilosas marchas al alba (…) la hediondez y la magía. A esa barbarie se había rebajado una inglesa. Movida por la lástima y el éscandalo, mi abuela la exhortó a no volver. Juró ampararla, juró rescatar a sus hijos. La otra le contestó que era feliz y volvió, esa noche, al desierto (…) quizá mi abuela, entonces, pudo percibir en la otra mujer, también arrebatada y transformada por este continente implacable, un espejo monstruoso de su destino … la figura de la mujer europea que opta por el desierto (…). El anverso y el reverso de esta moneda son, para Dios, iguales.
(Jorge Luís Borges, Historia del guerrero y de la cautiva – El Aleph)
… dipinta di colori feroci, gli occhi erano di quel colore apatico che gli Inglesi chiamano grigio. Il corpo era leggero, come di cerva, le mani, forti e ossute. Veniva dal deserto, da Terra di Dentro e tutto sembrava starle stretto: le porte, le pareti, i mobili.
Forse le due donne per un istante si sentirono sorelle, erano lontane dalla loro amata isola e in un paese incredibile. Mia nonna fece qualche domanda; l’altra le rispose con difficoltà, cercando le parole e ripetendole, come sorpresa da un sapore antico (…) dietro al racconto si intravedeva una vita selvaggia: le tende di cuoio di cavallo (…) le marce furtive all’alba (…) il fetore e la magia. A quale barbarie si era abbassata un’Inglese. Mossa dalla compassione e dallo scandalo, mia nonna la esortò a non tornare. Giurò di proteggerla, giurò di riscattare i suoi figli. L’altra le rispose che era felice e tornò, quella notte, al deserto (…) forse mia nonna, allora, poté percepire nell’altra donna, così rapita e trasformata da questo continente implacabile, uno specchio mostruoso del proprio destino (…). Il recto e il verso di questa moneta, per Dio, sono uguali.
(Jorge Luís Borges, Historia del guerrero y de la cautiva – El Aleph)