Ti vedo e nonostante la distanza, ci riconosciamo.
Sorridi e sei quasi bello, tu che bello non lo sei stato mai.
E ci abbracciamo così stretti e sorridenti nel sole appena tiepido di questo febbraio che sta finendo. Eri poco più di un ragazzo l’ultima volta che ti ho visto e ora fili grigi scherzano in mezzo alla tua barba e sulle tempie.
Mi racconti dei tuoi progetti folli. Le Alpi e il grande nord, l’Artico dove vuoi far la guida e dello sguardo attonito di tutti, quando hai detto che ti licenziavi, che te ne andavi da quella vita, agiata, sicura, ordinata, ordinaria … ordinariata. E che facevi un salto, in un bianco vuoto di certezze e pieno zeppo di speranze.
E rientro a casa, entusiasta di saperti così e traggo aruspici per il mio, di futuro, che anch’io voglio partire e so che ad aspettare, che sia la mia volta, che arrivi il momento giusto, aspetterò per sempre e non lo farò mai. E trovo solo sguardi di chi non capisce e non approva e in tutto quello che a me pare bello vede solo un irresponsabile.