
C’è un pittore tedesco, Gerhard Richter (Dresda, 1932) che, a partire dagli anni ’60, inizia una collezione di fotografie che lui giudica interessanti.
In origine il suo scopo è solamente quello di raccogliere le fotografie in cui si imbatte come iconografie “già pronte” (dichiaratamente dei veri e propri “objét trouvés” o “ready made” secondo l’insegnamento di Duchamp) per ottenere un serbatoio cui attingere per riproporlo nei suoi quadri.
Ricava quindi dai quotidiani, dalle riviste illustrate, da fotografie che lui stesso scatta … tutto il “visivo” che gli interessa.
Con il passare del tempo si accorge però che questo “accumulo” gli interessa di per se stesso, perché ha finito col trasformarsi in un corpo unitario.
Decide così di organizzare il materiale in pannelli su cui lo incolla, accostando un’immagine all’altra secondo il suo gusto, le sue idee del momento … e chiama il progetto “Atlas“, perché di un vero e proprio atlante per immagini si tratta. E forse anche perché il peso di questo mondo di carta si sta facendo troppo grande per poterlo sostenere sulle sue sole spalle.
Al momento in cui scrivo i pannelli sono oltre 700 per un totale di circa 5.000 fotografie. Periodicamente sono esposti nelle più importanti gallerie d’arte del mondo.
Guardandole scorrere, in quella sorta di fiume continuamente fluente, come un film che ci si snoda davanti agli occhi (ho avuto occasione alcuni anni fa, ante covid, e, mannaggiaall’etàcheavanza non riesco a ricordarmi dove …), si ha la sensazione che certe immagini siano caratterizzate da un’impronta comune, rimandano ad altre esperienze visive, richiamano altre immagini.
E’ un po’ come il gioco delle associazioni di idee, che si faceva da bambini.