– Ti chiami Pietro Fenoglio, giusto?
– Signorsì.
– Quanti anni hai?
– Ventitre, signor capitano.
– Quindi, vicebrigadiere Fenoglio Pietro, di anni ventitre, tu pensi che io creda a questa storia?
– Non saprei, signor capitano.
– Tu al mio posto ci crederesti?
– Francamente no.
– E allora perché me l’hai raccontata?
– Perché è vera, signor capitano.
La versione di Fenoglio, Gianrico Carofiglio, Einaudi, 2019
Moonrise – Hernandez – New Mexico, Ansel Adams, 1941
“Il materasso è umido.”
“Che c’entra con Belfagor?”
“Niente. Però il mio materasso è umido.”
“E’ un’impressione. E’ solo freddo.”
“No, no. E’ proprio umido.”
“Ok, il mio è sfondato al centro. Vuoi fare a cambio?”
Vuoi fare a cambio? Questa frase dell’infanzia arriva seguendo una linea retta della memoria. Ce ne accorgiamo entrambi, e restiamo in silenzio per un po’.
La casa nel bosco, Gianrico e Francesco Carofiglio
Elizabeth and I boating in Hungary, André Kertész, 1920
Lei fece qualche passo verso di me, con un’espressione che mi parve ammirata, intenerita e beffarda a un tempo.
“Bene Vallesi. Ottima risposta. Chi ama non brucia fisicamente – e dunque non ha senso chiederci se non rischi di morire tra le fiamme -, ma fra la passione e il fuoco esistono delle analogie. Noi usiamo l’immagine del fuoco per parlare del calore e anche della forza distruttrice della passione. Il fuoco è dunque metafora della passione. Sei innamorato, Vallesi?”
Diventai rosso. Cercai di dire qualcosa di spiritoso o brillante, ma non ci riuscii. Celeste, prima di voltarsi da un’altra parte e ricominciare a parlare, mi lanciò un ultimo sguardo che forse non significava niente ma che io interpretai come un segno di intesa e che mi fece scoppiare il cuore.
Il bordo vertiginoso delle cose, Gianrico Carofiglio, 2013
– Si vede che sei stato bravo a non farti prendere.
Il ragazzo sorrise.
– Però non è che ho fatto niente di speciale. Ve l’ho detto, un poco di sigarette, un poco di macchine, di pezzi di ricambio.
– Poi vendi un po’ di fumo, no?
– Vabbe’, qualche pezzettino, che c’è di male? Non è che mo’ m’arrestate anche per queste cose che vi sto dicendo?
Il maresciallo si girò a guardare la strada senza rispondere.
Arrivarono negli uffici del nucleo radiomobile e Fenoglio scrisse rapidamente il verbale di arresto. Disse a uno dei due brigadieri intervenuti sul posto di completare gli atti per la procura e per il carcere, e di avvertire il pubblico ministero. Poi si rivolse al ragazzo: – Adesso me ne vado. Ti portano dal giudice già stamattina. Quando parli con il tuo avvocato, digli che vuoi fare il patteggiamento. Avrai la pena sospesa e non dovrai nemmeno passare dal carcere.
Quello lo guardò con gli occhi di un cane grato a cui il padrone ha tolto una spina dalla zampa.
– Maresciallo, grazie. Se vi serve qualcosa, io me la faccio tra Madonnella e il Petruzzelli, mi potete trovare al Bar del Marinaio. Qualsiasi cosa, a disposizione.
Le nostre parole sono spesso prive di significato. Ciò accade perché le abbiamo consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole. Le abbiamo rese bozzoli vuoti. Per raccontare, dobbiamo rigenerare le nostre parole. Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore. E per fare questo dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle.
Nei nostri seminari chiamiamo ‘manomissione’ questa operazione di rottura e ricostruzione. La parola manomissione ha due significati, in apparenza molto diversi. Nel primo significato essa è sinonimo di alterazione, violazione danneggiamento. Nel secondo, che discende direttamente dall’antico diritto romano (manomissione era la cerimonia con cui uno schiavo veniva liberato), essa è sinonimo di liberazione, riscatto, emancipazione.
La manomissione delle parole include entrambi questi significati. Noi facciamo a pezzi le parole (le manomettiamo nel senso di alterarle, violarle) e poi le rimontiamo (le manomettiamo nel senso di liberarle dai vincoli delle convenzioni verbali e dei non significati).
Solo dopo la manomissione, possiamo usare le nostre parole per raccontare storie”